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Licenziato per giusta causa il lavoratore che dileggia sull’orientamento sessuale del collega.

Un dipendente di un’azienda di trasporti autoferrotranvieri, concessionaria del servizio pubblico, rivolgeva frasi offensive riguardo all’orientamento sessuale della collega durante il servizio ed in luogo pubblico.

La lavoratrice, offesa per le frasi “sconvenienti” pronunciate ad alta voce nei suoi riguardi in presenza dell’utenza e in luogo pubblico, presentava una segnalazione all’azienda per il comportamento irrispettoso del collega, rivendicando la propria sfera privata e l’inaccettabilità e lesività della condotta perpetrata in suo danno, quale violazione del Codice Etico aziendale nonché delle regole di civile convivenza.

L’azienda attivava la procedura interna con la conseguente convocazione della Commissione di Inchiesta e, preso atto della sostanziale assenza di giustificazione e dell’atteggiamento offensivo e minaccioso del dipendente nei confronti del Presidente della Commissione, risolveva immediatamente il rapporto di lavoro per giusta causa in conseguenza della gravità degli addebiti.

Il lavoratore impugnava il licenziamento e il Tribunale confermava la legittimità del licenziamento mentre la Corte di appello, ritenendo sproporzionata la sanzione espulsiva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, comma 5, l. n. 300/1970 e s.m.i. dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava parte datoriale al pagamento di un importo pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.

Per i Giudici di Appello il licenziamento era sproporzionato trattandosi di una condotta “inurbana” (in quanto concernente apprezzamenti sulla sfera sessuale di una collega), da considerarsi meno grave del “contegno inurbano o scorretto verso il pubblico”, e quindi andava punito con sanzione conservativa dal Regolamento allegato A) Regio Decreto n. 148/1931 e non espulsiva.

Il lavoratore licenziato proponeva ricorso in Cassazione e l’azienda datrice di lavoro proponeva ricorso incidentale e la Suprema Corte cassava la decisione impugnata, disponendo il riesame della complessiva fattispecie al fine della verifica della sussistenza della giusta causa di licenziamento, alla luce della corretta scala valoriale di riferimento indicata.

I giudici di legittimità, da un lato, cristallizzavano l’adeguamento degli standard valoriali dell’ordinamento, a cui deve essere attualizzata la nozione della giusta causa di licenziamento, con i principi di non-discriminazione, parità del trattamento, dignità della persona e dei diritti fondamentali alla riservatezza delle abitudini sessuali, dall’altro, stabilivano che il rispetto che merita qualsiasi orientamento sessuale è un “innegabile portato della evoluzione della società” negli ultimi decenni e la scelta che attiene alla sfera della sessualità intima e assolutamente riservata della persona va tutelata contro qualsiasi intrusione indebita con strumenti di reazione adeguati.

La Cassazione non ritiene condivisibile la lettura tollerante e riduttiva della Corte d’Appello qualificando come mero “comportamento inurbano” la condotta del lavoratore; tale condotta è contraria non solo alle regole di buona educazione e alle forme del vivere civile, ma a valori più pregnanti che sono espressione di principi generali dell’ordinamento e dei diritti di rango costituzionale, come la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2) senza distinzione di sesso, la tutela dello sviluppo della persona umana (articolo 3), il lavoro come forme di esplicazione della personalità dell’individuo (articolo 4) da tutelare “in tutte le sue forme e applicazioni” (articolo 35).

In tal senso, pertanto, il dileggio irridente sull’orientamento sessuale in luogo pubblico ed in presenza di terzi soggetti non si può ridurre a semplice questione di buona educazione ma concretizza, invece, una condotta degradante e offensiva realizzata per ragioni connesse al sesso; tale condotta non consente la prosecuzione del rapporto lavorativo poiché incide sul sistema di impostazione valoriale dei diritti di rango costituzionale, oltre che ledere la generale esigenza di riservatezza di ogni individuo relativa al proprio orientamento sessuale, quale dato sensibile tutelato a livello nazionale e comunitario (d.lgs. n. 196/2003 e GDPR – Reg. UE n. 2016/679).

Cassazione Civile, sezione lavoro, Ordinanza 9 marzo 2023, n. 7029.

Fonte: ilgiuslavorista.it

Il condomino in regola con i pagamenti può ottenere dal giudice il beneficio di preventiva escussione del condomino moroso

Il condomino in regola con i pagamenti, al quale sia intimato precetto da un creditore sulla base di un titolo esecutivo giudiziale formatosi nei confronti del condominio, può proporre opposizione a norma dell’art. 615 c.p.c. per far valere il beneficio di preventiva escussione dei condomini morosi che condiziona l’obbligo sussidiario di garanzia di cui all’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., ciò attenendo a una condizione dell’azione esecutiva nei confronti del condomino non moroso e, quindi, al diritto del creditore di agire esecutivamente ai danni di quest’ultimo.

Cassazione civile, Sez. II, sent. 17 febbraio 2023, n. 5043, Pres. Manna, Est. Scarpa

Fonte: eclegal.it

Ineleggibilità del sindaco di società di capitali

Se un sindaco di società di capitali è legato a quest’ultima (o alle società controllate, alle società controllanti o quelle sottoposte a comune controllo) da un rapporto di natura patrimoniale di lavoro o di consulenza anche di soci e collaboratori del medesimo studio professionale, che ne possa compromettere l’indipendenza, è ineleggibile ex art. 2399 lett. c) c.c.

La ragione della causa di ineleggibilità risiede nell’esigenza di garantire l’indipendenza di colui che è incaricato delle funzioni di controllo in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza, con valutazione rimessa al prudente apprezzamento del giudice in base all’esame della concreta fattispecie.

Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 29406 del 10 ottobre 2022

Fonte: ilsocietario.it

Business judgement rule e responsabilità degli amministratori di società di capitali

Le scelte di gestione degli amministratori di società di capitali sono insindacabili a condizione che siano ragionevoli e tale ragionevolezza deve essere applicata nel processo decisionale in base alla diligenza del mandatario, tenendo conto della eventuale mancata adozione di cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste per la tipologia di scelta effettuata nonché della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.
Sulla base di tale prospettiva l’acquisizione di rami aziendali a prezzi vantaggiosi e in presenza di un piano di rilancio non è di per sé irragionevole, mentre l’acquisto di un ramo d’azienda gravemente indebitato e dissestato, ove non accompagnato dalla contestuale adozione di adeguate risposte organizzative idonee a consentirne il rilancio costituisce atto di mala gestio.

Cassazione Civile, Sezione prima, ordinanza n. 2172 del 24 gennaio 2023

Fonte: ilsocietario.it

Appalti privati: l’appaltatore è responsabile fino a prova contraria dei vizi dell’opera

La Suprema Corte ha confermato il principio secondo cui l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, «è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo; l’appaltatore, in mancanza di tale prova è, pertanto, tenuto a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori» (Cass. n. 23594/2017, n. 8016/2012).

Fonte: ridare.it

Recensioni false su Google: accolto il ricorso di un ristoratore

Il Tribunale di Genova ha accolto il ricorso di un ristoratore che si era accorto di essere oggetto di ripetute e diffamatorie recensioni pubblicate da ignoti su Google le quali contenevano riferimenti a prodotti non commercializzati dal ristorante e descrivevano località diverse da quelle dove è ubicato il locale.

Il giudice ha richiamato sul punto l’orientamento prevalente recente della Cassazione (Cass. civ. n. 7708/2019; Cass. civ., sez. I, 16/09/2021, n. 25070) per cui la responsabilità derivante dallo svolgimento di attività di hosting sussiste in capo al prestatore di servizi di rete che non abbia provveduto all’immediata rimozione dei contenuti illeciti, qualora ricorrano, congiuntamente, la conoscenza legale dell’illecito perpetrato dal destinatario del servizio; la ragionevole possibilità di constatarlo, alla stregua del grado di diligenza richiesto ad un operatore professionale della rete; la possibilità di attivarsi utilmente ai fini della rimozione.

Fonte: dirittoegiustizia.it

Opere sulle parti comuni dell’edificio: il giudice del merito deve verificare la fruibilità del ballatoio comune in caso di lavori da parte di un condomino

La Corte d’Appello di Milano ha ritenuto legittima la chiusura del ballatoio condominiale da parte di una condomina in corrispondenza dell’appartamento di sua proprietà in quanto tale opera non pregiudicava la destinazione funzionale del bene comune (ballatoio) a dare area e luce alle rispettive proprietà esclusive degli altri condomini.

Ne consegue quindi che: «l’art. 1122, comma 1, c.c., vieta a ciascun condomino, nell’unità immobiliare di sua proprietà, l’esecuzione di opere che rechino danno alle parti condominiali, nel senso che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune da parte degli altri condomini o determinino pregiudizievoli invadenze dell’ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari.

Spetta al giudice del merito, sulla base di apprezzamento di fatto sindacabile in cassazione soltanto nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., verificare se l’opera realizzata su parte di proprietà individuale, nella specie la chiusura eseguita in corrispondenza dell’appartamento di una condomina, pregiudichi in modo apprezzabile la fruibilità del ballatoio comune da parte degli altri condomini, avendo riguardo alla destinazione funzionale dello stesso ed alle utilità che possano trarne le restanti unità di proprietà esclusiva».

Fonte: dirittoegiustizia.it

Diritto di controllo del socio: presupposti e limiti

Il diritto di controllo e ispezione del socio, di cui all’art. 2476, comma 2, c.c., quale diritto potestativo, strumentale a qualunque prerogativa del socio stesso e non solo all’esercizio dell’azione di responsabilità, non può sopravvivere all’estinzione dell’ente, trattandosi di un diritto amministrativo che appartiene al socio e che può esser fatto valere solo nei confronti della società partecipata. (Tribunale Milano, 22/04/2022).

In ipotesi in cui la società a responsabilità limitata sia una holding non può affermarsi, in via generale ed astratta, la sussistenza del potere del socio di esaminare indifferentemente e direttamente ogni documento della partecipata, ma non può per converso negarsi in radice la possibilità di avere specifiche informazioni sulle partecipate, se si negasse tale facoltà si avrebbe come risultato lo svuotamento del diritto ex art 2476 comma 2 c.c. ogni volta in cui la società abbia come attività soltanto quella “statica” di gestione di partecipazioni.

Il contrasto tra il diritto di accesso del socio di s.r.l. e le esigenze di riservatezza della società debba essere risolto alla luce del principio di buona fede, la cui applicazione allo specifico rapporto sociale “comporta che il diritto alla consultazione della documentazione sociale e alla estrazione di copia possa trovare specifica limitazione attraverso l’accorgimento del mascheramento preventivo dei “dati sensibili” presenti nella documentazione, quali, i dati relativi ai nominativi di clienti e fornitori- laddove alle esigenze di controllo “individuale” della gestione sociale -cui è preordinato il diritto del socio ex art. 2476, comma 2, c.c. – si contrappongano non pretestuose esigenze di riservatezza fatte valere dalla società. (Tribunale Milano, 29/04/2022).

Fonte: ilsocietario.it

Trust: nell’azione revocatoria avente ad oggetto il conferimento di beni in Trust il Trustee è sempre litisconsorte necessario.

Nell’azione revocatoria avente ad oggetto il conferimento in trust il trustee è sempre litisconsorte necessario. Siffatta azione deve essere esercitata avverso il trustee che era in carica all’epoca del conferimento.

Nel giudizio per la revocatoria del conferimento in un Trust i cui disponenti sono i nonni e i cui beneficiari sono i nipoti, minori d’età, non si ravvisa conflitto di interessi tra questi ultimi e i loro rispettivi genitori (citati in giudizio quali legali rappresentanti dei minori), in quanto i genitori hanno dato il benestare al Trust e a nulla rilevando la loro mancata costituzione in giudizio.

Corte Suprema di Cassazione, III sex. civ, ordinanza n.11762 – 12 aprile 2022

Se la s.r.l. si estingue il socio perde il diritto di controllo

In tema di controllo del socio nella s.r.l., il diritto di controllo ed ispezione del socio di cui all’art. 2476, comma 2, c.c., quale diritto potestativo, strumentale a qualunque prerogativa del socio stesso e non solo all’esercizio dell’azione di responsabilità, non può sopravvivere all’estinzione dell’ente.

Il diritto di controllo del socio, infatti, ha natura amministrativa e come tale può esser fatto valere dal socio che ne è titolare solo nei confronti della società partecipata.

L’estinzione dell’ente e del contratto fa conseguire il venir meno in capo all’ex socio di tale diritto e conseguentemente del correlativo obbligo in capo ad un ente non più esistente.

Va comunque evidenziato che ai sensi dell’art. 2496 c.c., a conclusione della fase di liquidazione della società e della correlata estinzione, gli ex soci e chiunque vi abbia interesse può esaminare i libri sociali, che vengono depositati e conservati presso l’ufficio del registro delle imprese per dieci anni.

Tribunale di Milano – Sez. Specializzata – Ordinanza del 22 aprile 2022.

Fonte: ilsocietario.it