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Responsabilità degli amministratori di s.p.a.

Per i giudici del Tribunale di Firenze gli amministratori non operativi non sono più sottoposti a un generale obbligo di vigilanza, tale da trasmodare di fatto in una responsabilità oggettiva, per le condotte dannose degli altri amministratori, ma rispondono solo quando non abbiano impedito fatti pregiudizievoli di questi ultimi in virtù della conoscenza – o della possibilità di conoscenza, per il dovere di agire informati ex art. 2381 c.c. – di elementi tali da sollecitare il loro intervento alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

Tribunale di Firenze, Sezione Imprese, Sentenza n. 2628 del 19 settembre 2019

Fonte: ilfallimentarista.it

L’usurarietà degli interessi moratori non si comunica agli interessi corrispettivi inferiori al tasso soglia usura

Cass. Civ. – Sez. III – 13 settembre 2019, Sentenza n. 22890.

Secondo la Suprema Corte l’usurarietà degli interessi moratori non si comunica agli interessi corrispettivi inferiori al tasso soglia usura.

Nel contenzioso bancario, l’asserita usurarietà del tasso di interesse moratorio (anche se mai applicato) è spesso preordinata ad ottenere la gratuità dell’intero contratto di finanziamento e dunque la non debenza anche degli interessi corrispettivi non usurari, sul presupposto che “Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” (art. 1815, comma 2, c.c.).

Ci si chiede quindi se la eventuale pattuizione di interessi moratori usurari travolga anche la convenzione relativa agli interessi corrispettivi pattuiti nel rispetto del tasso soglia usura.

La giurisprudenza

In riferimento agli effetti del superamento del tasso-soglia da parte degli interessi moratori (singolarmente considerati e non sommati con quelli corrispettivi), si registrano conclusioni non univoche da parte della giurisprudenza di merito.

Secondo un primo orientamento (App. Venezia 18.2.2013; Trib. Pavia 10.12.2014; Trib. Torino 20.6.2015, 27.4.2016, 17.11.2016; Trib. Bari 18.10.2016 e 24.10.2017; Trib. Viterbo 5.1.2016; Trib. Chieti 27.2.2017; Trib. Como 13.7.2017; Trib. Viterbo 14.6.2017; Trib. Ravenna 17.7.2017; Trib. Benevento 16.7.2017; Trib. Bari 11.1.2018, 2.2.2018, 17.3.2018; App. Bari 4.6.2018; Trib. Ferrara 20.4.2018; Trib. Prato 2.8.2018), l’art. 1815, comma 2, c.c. (« se sono convenuti tassi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi ») esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie, la cui ratio è quella di colpire la condotta del mutuante che approfitta della posizione dominante per imporre un regolamento degli interessi, anche soltanto a titolo di interessi di mora, contra legem e che per ciò solo, oltre alla sanzione penale, non è più meritevole, sul piano civile, di percepire alcuna somma a titolo d’interessi (App. Venezia 18.2.2013).

Nel caso di superamento ab origine del tasso soglia d’usura anche soltanto degli interessi di mora, nessuna somma è dunque dovuta a titolo di interessi corrispettivi (anche se inferiori alla soglia d’usura) e moratori, ed il mutuatario avrà diritto a rimborsare solo la somma capitale e ad ottenere la restituzione di tutte le somme indebitamente pagate a titolo di interessi: dunque conversione forzosa del mutuo usurario da oneroso a gratuito in forza della estensibilità del vizio del tasso di mora al tasso corrispettivo.

Altra (prevalente) parte della giurisprudenza di merito afferma, viceversa, che ove il tasso di mora risultasse pattuito in termini da superare il tasso-soglia rilevato all’epoca della stipulazione del contratto (usura originaria), la pattuizione del tasso di mora sarebbe nulla, ex art. 1815, comma 2, c.c., con l’effetto che, in caso di ritardo o inadempimento, non potranno essere applicati interessi di mora, ma saranno unicamente dovuti i soli interessi corrispettivi (ove pattuiti nel rispetto del tasso-soglia) (Trib. Milano 28.1.2014, 22.5.2014 e 8.3.2016; Trib. Lecce 25.9.2015; Trib. Reggio Emilia 25.2.2015; Trib. Chieti 23.4.2015; Trib. Treviso 12.11.2015; Trib. Ferrara 16.12.2015; Trib. Chieti 23.4.2015; Trib. Bologna 24.2.2016 e 6.12.2016; Trib. Ivrea 26.2.2016; App. Milano 11.5.2017; Trib. Monza 19.6.2017; Trib. Udine 14.11.2017; Trib. Chieti 3.10.2017; Trib. Salerno 19.10.2017; Trib. Torino 14.6.2017; Trib. Verona 11.12.2017; Trib. Ferrara 7.3.2018; Trib. Treviso 24.1.2018; Trib. Verona 5.4.2018; Trib. Santa Maria Capua Vetere 21.5.2018; Trib. Brescia 21.12.2017 e 19.4.2018; Trib. Treviso 22.3.2018 e 9.4.2018; App. Bologna 21.5.2018; Trib. Milano 8.2.2019; Trib. Bologna 6.3.2019; Trib. Milano 9.4.2019).

Questo approccio esegetico è rispettoso del differente inquadramento giuridico degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori, avendo essi autonoma e distinta funzione: i primi rappresentano, infatti, il corrispettivo del mutuo, mentre i secondi assolvono ad una funzione risarcitoria, preventiva e forfettizzata del danno da ritardo nell’adempimento. Da tale distinzione ontologica e funzionale, discende la necessità di isolare le singole clausole dal corpo del regolamento contrattuale ai fini della declaratoria di nullità, o meglio, di riconoscere che l’unico contratto di finanziamento contiene due distinti ed autonomi paradigmi negoziali destinati ed applicarsi in alternativa tra loro in presenza di differenti condizioni: l’uno fisiologico e finalizzato alla regolamentazione della restituzione rateale delle somme mutate; l’altro solo eventuale ed in ipotesi di patologia del rapporto, nel caso di inadempimento del mutuatario (evenienza al verificarsi della quale è ragionevole ritenere che diversamente si atteggi la volontà delle parti).

Da ciò discende che l’eventuale nullità della seconda pattuizione, relativa al caso di inadempimento ed alla patologia del rapporto, non pregiudica la validità della prima pattuizione, relativa alla fisiologia del rapporto. Se dunque gli interessi corrispettivi, convenuti entro il tasso soglia, continuano ad essere dovuti nel rispetto del piano di ammortamento rateale, l’invalidità della clausola contrattuale concernente la mora, in rigorosa applicazione della sanzione posta dal combinato disposto dagli artt. 1815, comma 2, e 1419 c.c., determina la non debenza degli interessi moratori, ma solo di tali interessi, senza che ciò comporti la conversione in mutuo gratuito di un mutuo contenente interessi moratori usurari.

Avvalora tale ricostruzione il disposto dell’art. 1815, comma 2, c.c., invero focalizzato sugli interessi corrispettivi, laddove stabilisce che se sono convenuti interessi usurari la « clausola è nulla » (Trib. Milano 8.3.2016).

Anche da un diverso angolo di visuale è comunque escluso che si possa desumere ex art. 1815, comma 2, c.c. che nessun interesse è dovuto in caso di usurarietà degli interessi moratori. Questa conclusione non è infatti sostenibile in quanto implica la totale non risarcibilità del danno da inadempimento o da ritardo, privilegiando irragionevolmente, con la gratuità del finanziamento, proprio il debitore che non adempie il proprio obbligo restitutorio (ex multis Trib. Milano 9.4.2019). Rileva, al riguardo, l’art. 1224, comma 1, c.c., laddove stabilisce che in assenza di tasso di mora si applica comunque quello corrispettivo o legale.

Ipotizzare, infine, la configurabilità di due diversi tassi soglia, uno per gli interessi corrispettivi ed uno per quelli moratori (secondo la maggiorazione prevista da Bankitalia), non condurrebbe a conclusioni diverse, dovendosi ragionevolmente ritenere che se gli interessi moratori fossero usurari, solo questi non sarebbero dovuti, mentre gli interessi corrispettivi, rispettosi del proprio limite, sarebbero comunque dovuti (Trib. Napoli 13.2.2018).

In tale contesto giurisprudenziale si colloca la decisione in commento che – nel richiamare testualmente il precedente di Cass. n. 21470/2017 – ha precisato che l’art. 1815, comma 2, c.c., nel prevedere la nullità della clausola relativa agli interessi, ove questi siano usurari, intende per clausola la singola disposizione pattizia che contempli interessi eccedenti il tasso-soglia, indipendentemente dal fatto che essa esaurisca la regolamentazione dell’entità degli interessi dovuti in forza del contratto.

Pertanto, la sanzione dell’art. 1815, comma 2, c.c., non può che colpire la singola pattuizione che programmi la corresponsione di interessi usurari, non investendo le ulteriori disposizioni che, anche all’interno della medesima clausola, prevedano l’applicazione di interessi che usurari non siano..

Riguardo agli effetti della usurarietà degli interessi moratori, i giudici di legittimità hanno ragionevolmente stabilito che ove le parti abbiano convenuto un saggio di interesse inferiore al tasso soglia, “la relativa disposizione è valida, e non vi è modo di ritenere che ad essa si comunichi la patologia negoziale che colpisce altra pattuizione” (ossia, quella relativa alla convenzione di interessi superiori al tasso soglia), poiché “se non si comunica l’invalidità, non si comunica nemmeno l’inefficacia (data dalla non spettanza degli interessi) che da quell’invalidità si origina”.

Conclusioni

L’eventuale pattuizione di interessi moratori usurari non si comunica anche agli interessi corrispettivi pattuiti nel rispetto del tasso soglia usura.

Fonte: ilsocietario.it

Per modificare le tabelle millesimali non serve l’unanimità

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30392/19, sez. VI Civile – 2, depositata il 21 novembre.

La vicenda. Alcuni condomini, che si erano visti ingiungere il pagamento degli oneri condominiali relativi a spese di manutenzione, hanno impugnato i decreti ingiuntivi notificati loro invocando l’applicazione della norma del regolamento condominiale che li esonerava dall’obbligo di partecipare al riparto delle spese condominiali.
Il Tribunale di Roma accoglieva l’eccezione del Condominio convenuto circa la natura non contrattuale del regolamento condominiale, ma rilevava che le delibere di riparto delle spese poste a base dei decreti ingiuntivi non avevano rispettato le vigenti tabelle millesimali. Le opposizioni venivano dunque accolte con revoca dei decreti ingiuntivi.
Nel successivo giudizio di appello la decisione veniva confermata. La questione è dunque giunta dinanzi alla Suprema Corte.

Spese condominiali. Secondo il Condominio ricorrente, avendo escluso la natura negoziale del regolamento condominiale, la delibera assembleare adottata con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2, c.c. poteva legittimamente disporre il riparto delle spese di conservazione delle parti comuni con un criterio difforme dalle tabelle millesimali.
La censura viene condivisa dal Collegio che ricorda come la giurisprudenza abbia già avuto modo di chiarire che l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, così come quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale. Di conseguenza, non è necessaria il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, comma 2, c.c. (SS.UU. n. 18477/10).
Il Giudice di merito ha dunque erroneamente ravvisato la nullità delle delibere assembleari con cui erano state ripartite le spese di manutenzione.
Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Roma.

Fonte: dirittoegiustizia.it

Le spese per il tetto vanno ripartite in misura proporzionale al valore delle singole proprietà

Il Tribunale di Firenze, con Sentenza del 20 marzo 2019, ha stabilito che i tetti deputati a preservare l’edificio condominiale da agenti atmosferici e da infiltrazioni d’acqua rientrano fra le cose comuni, le cui spese devono essere ripartite in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive ai sensi dell’art. 1123 c.c. Nel caso di specie, il tetto dell’edificio condominiale è costituito da un unico lastrico solare, che va a coprire i singoli corpi di fabbrica di cui è composto l’edificio, pertanto la spesa deve essere ripartita fra tutti i condomini in misura proporzionale.

(In senso conforme Cass. civ., sez. II, 3 gennaio 2013, n. 64)

Fonte: condominioelocazione.it

Non è revocabile il Trust familiare che non renda maggiormente difficoltoso all’Erario agente in revocatoria il recupero del credito

Il giudice del Tribunale di Roma, con sentenza 7 ottobre 2019, ha negato la revocabilità ex art. 2901 cod. civ. di un Trust familiare in quanto l’Erario, da un lato, era intervenuto nelle procedure esecutive aventi ad oggetto gli immobili non conferiti in Trust, con la probabilità di soddisfarsi interamente nell’ambito di esse, e, dall’altro, poteva contare sulla garanzia patrimoniale costituita dai beni del disponente non esecutati né conferiti in Trust, il cui valore era sufficiente alla soddisfazione di un eventuale residuo credito.

Tribunale Roma, Sentenza 7 ottobre 2019.

Mediazione immobiliare: l’obbligo del mediatore di informare le parti

Il mediatore, ai sensi dell’art. 1759, comma1, c.c., ha l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza e nello specifico di riferire alle parti tutte le circostanze dell’affare di cui è a conoscenza, o che avrebbe dovuto conoscere con l’uso della normale diligenza.   

(Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 27482/19; depositata il 28 ottobre)

Questo è principio che si evince dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 27482/19, depositata il 28 ottobre, chiamata ad intervenire all’interno di una causa avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro assunta a titolo di provvigione da parte di una mediatrice, appunto, per l’opera di mediazione immobiliare prestata ai fini dell’acquisto di un appartamento.

 Il ruolo del mediatore. Occorre sottolineare che, nello svolgimento dell’attività intermediatrice, il mediatore deve adempiere ad una serie di obblighi specifici, fra i quali assume particolare importanza quello di prestare le informazioni, di cui all’art. 1759 c.c., che ha la finalità di impedire che il mediatore presti la propria attività per lucrare la provvigione, pur sapendo che le parti concluderanno affari che potrebbero risultare inconvenienti. Il suo complessivo obbligo comprende quello di comunicare tutte le circostanze a lui note o conoscibili con la normale diligenza della professione esercitata e, in senso contrario, il divieto di fornire informazioni su circostanze di cui non abbia conoscenza o che non abbia controllato.

Pertanto, rifacendosi a quanto sinora detto, i Giudici di legittimità, in accoglimento del ricorso enunciano il seguente principio di diritto, cui la Corte d’Appello deve conformarsi, in virtù del quale: il mediatore, ai sensi dell’art. 1759, comma1, c.c., ha l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza e nello specifico di riferire alle parti tutte le circostanze dell’affare di cui è a conoscenza, o che avrebbe dovuto conoscere con l’uso della normale diligenza. Tra queste circostanze, nel caso di mediazione immobiliare, rientrano le informazioni relative all’esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli sull’immobile oggetto della trattativa.

Fonte: dirittoegiustizia.it

Rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di imprese

Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell’ufficio giudiziario, da cui l’inammissibilità del regolamento di competenza, richiesto d’ufficio ex art. 45 c.p.c.; deve di contro ritenersi che rientri nell’ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l’ufficio giudiziario, diverso da quello ove la prima sia istituita.

Cassazione Civile, Sezioni Unite, Sentenza n. 19882 del 23 luglio 2019.

Fonte: ilsocietario.it

L’onere di specificazione delle “ragioni sostitutive” nel contratto a termine

Il datore di lavoro che voglia assumere con contratto a termine può farlo in presenza di ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che giustifichino la apposizione del termine ed è tenuto a provare in giudizio la esistenza di dette ragioni.

Muovendosi all’interno delle ragioni sostitutive non ci si può limitare a indicare il tipo di ragioni parafrasando la dizione legislativa, ma bisogna adempiere a quell’onere di specificazione che la norma impone alle parti che stipulano il contratto individuale di lavoro (in assenza peraltro nel nuovo sistema di una delega di funzioni regolative al sindacato).

Indicare ragioni specifiche significa fornire indicazioni che consentano il controllo delle ragioni indicate. Una ragione giustificatrice o è controllabile o non è, tanto più se la legge impone di specificarla.

Sul punto, la Corte di cassazione ha affermato che l’apposizione del termine per “ragioni sostitutive” è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti, da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse, risulta integrata dall’indicazione di elementi ulteriori, quali, l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro, che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato.

In applicazione dei suindicati principi, occorre tener conto, quindi, del fatto che il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alla realtà specifica in cui il contratto viene ad essere calato.

Tribunale Bari, 26 settembre 2019

Fonte: ilgiuslavorista.it

Responsabilità tributaria dei soci di società estinta e rilevanza della distribuzione del riparto

In ordine alle obbligazioni tributarie, il limite di responsabilità di cui all’art. 2495 c.c. non incide sulla legittimazione processuale, ma può influire sull’interesse ad agire dei creditori sociali, rapportabile, in via astratta, a quanto riscosso a seguito della liquidazione. La circostanza che i soci abbiano goduto o meno di un qualche riparto non è comunque dirimente ai fini dell’interesse ad agire del Fisco creditore, laddove anche la possibilità di sopravvenienze attive, o la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci.

Cass. Civ., Sez. Trib., sentenza 5 settembre 2019 n. 22209

Fonte: ilsocietario.it

La responsabilità del condominio per i vizi costruttivi dell’immobile

La Corte d’Appello di Brescia esamina una fattispecie in cui riafferma il principio di diritto espresso dalla giurisprudenza consolidata di legittimità, secondo cui il condominio è il soggetto responsabile ex art. 2051 c.c. per le conseguenze dannose arrecate da beni comuni alla proprietà individuale di un condomino, e ciò anche in presenza di vizi di costruzione, atteso, da un lato, che la corresponsabilità del terzo non esclude quella del condominio fondata autonomamente sull’omessa manutenzione della res comune, e, dall’altro, che lo stesso vizio di costruzione non integra un’ipotesi di caso fortuito, il solo che possa escludere la responsabilità del condominio per omessa custodia.

Corte App. Brescia, sent. 18 aprile 2019.

Fonte: condominioelocazione.it