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Computo dei soci lavoratori di cooperativa ai fini dell’integrazione del requisito dimensionale

In una società cooperativa, anche i soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato devono essere computati ai fini del requisito dimensionale per l’applicazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro: con la conseguenza della fruibilità anche dai lavoratori dipendenti non soci della tutela prevista dall’art. 18, l. n. 300 del 1970, nel testo novellato dall’art. 1, comma 42, l. n. 92 del 2012.

Il caso. La Corte d’appello di Palermo aveva condannato una società di Autoservizi alla riassunzione entro tre giorni di un lavoratore licenziato, in mancanza, al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di un’indennità pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La Corte palermitana aveva ritenuto violato l’obbligo di repechage, per l’assunzione di un nuovo dipendente, ancorché a tempo determinato e parziale, in concomitanza con la decisione del licenziamento e aveva ritenuto applicabile la tutela obbligatoria, in difetto del requisito dimensionale dell’impresa.

Cass., sez. lav., 11 marzo 2019, n. 6947

Fonte: ilgiuslavorista.it

L’assegno all’unito civile e il paradosso delle possibili discriminazioni in nome del principio di uguaglianza

Nel procedimento di scioglimento dell’unione civile non è possibile autorizzare le parti a vivere separate né è applicabile l’art. 191 c.c. L’assegno a seguito dello scioglimento dell’unione civile è retto dai principi espressi da Cass. SS.UU. sentenza n. 18287/2018 in punto assegno divorzile. All’unito civilmente, in presenza di uno squilibrio economico rilevante, spetta dunque un assegno parametrato alle perdite di chance subìte per effetto delle scelte lavorative fatte nel corso della relazione da intendersi, sotto il profilo temporale, comprensiva anche del periodo di convivenza di fatto prima della contrazione del vincolo.

Trib. Pordenone ord. 13 marzo 2019

Fonte: ilfamiliarista.it

Insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento

L’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo insussistente trova inquadramento, rispetto ai rapporti di lavoro ai quali si applica il vigente testo dell’art. 18, l. n. 300 del 1970, in due diverse fattispecie.

Esse sono caratterizzate, l’una, dalla semplice non ricorrenza degli “estremi del predetto giustificato motivo obiettivo” e, l’altra, dalla “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”, che ha l’effetto, ove ricorrente, di rimettere
al giudice la decisione in ordine all’applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, st. lav., sulla base di una valutazione discrezionale (“può”) da svolgere in forza dei principi generali in tema di tutela in forma specifica e non eccessiva onerosità della stessa (art. 2058, c.c.) ed applicandosi altrimenti, pur nel palesarsi del vizio di maggiore gravità, la sola tutela indennitaria di cui al comma 5.

Cass., sez. lav., 31 gennaio 2019, n. 2930

Fonte: ilgiuslavorista.it

Pubblicato il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale di ieri, la n. 38, il D.lgs 12 gennaio 2019 n. 14 emanato in attuazione della legge delega n. 155/2017 recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Il provvedimento, in un corposo corpus normativo di 391 articoli, contiene la riforma organica delle procedure concorsuali di cui alla legge fallimentare vigente, la disciplina del sovraindebitamento e altre norme (tra cui modifiche al codice civile, al testo unico bancario ecc.)

Come previsto dall’art. 389, il Codice entrerà in vigore decorsi 18 mesi dalla data della sua pubblicazione e quindi il 14 agosto 2020 fatta eccezione per alcune singole ipotesi previste in deroga (art. 27, comma 1, 350, 356, 357, 359, 363, 364, 366, 375, 377, 378, 379, 385, 386, 387 e 388) la cui efficacia è stata prevista a partire dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e quindi dal giorno 16 marzo 2019. Altre singole norme infine, prevedono una entrata in vigore differita anche rispetto alla vacatio lunga.

Fonte: ilfallimentarista.it

Licenziamento per scarso rendimento: possibile se il lavoratore reitera un comportamento poco diligente a discapito della produzione e del lavoro dei colleghi.

Spesso si parla di scarso rendimento; un tema delicato che intreccia gli interessi del dipendente, al quale non si può imporre un livello di produzione minimo o uno specifico obiettivo da raggiungere se non è previsto nel suo contratto, e del datore, il quale non può permettere che un dipendente troppo lento non produca e percepisca lo stesso stipendio di altri suoi colleghi.

Il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore svogliato o lento richiede comunque che tale comportamento sia reiterato a discapito della produzione e del lavoro dei colleghi, che sono quindi costretti a fare anche il lavoro del collega poco diligente.

In un caso recente la Suprema Corte, nel ricordare che non c’è automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari anche in presenza di previsione collettiva in quanto permane sempre il controllo sulla proporzionalità della sanzione, ha ritenuto non violato il principio dell’onere della prova in relazione ai fatti integranti la recidiva dell’operaio. Determinanti si sono rivelati due precedenti negativi del lavoratore, puntualmente provati dal datore di lavoro con due distinte lettere di richiamo, mai contestati dal dipendente.

Sulla base di tali considerazioni la Cassazione ha stabilito che l’azienda ha legittimamente effettuato una prognosi negativa sulla possibilità di un aumento di diligenza da parte del dipendente, licenziando quest’ultimo per scarso rendimento.

Cassazione civile, sez. lav., 28/01/2019,  n. 2289

Onere probatorio nel licenziamento disciplinare

La Corte d’Appello di Milano, sezione lavoro, con sentenza 10 gennaio 2019 n. 1994, ha respinto il ricorso di un azienda che in primo grado (Tribunale di Busto Arsizio) non si era costituita ed era stata condannata a reintegrare un dipendente che aveva licenziato a seguito di contestazione disciplinare per avere sottratto da una autovettura delle cuffie auricolari durante il proprio turno di lavoro, restituite poi il giorno seguente.

I giudici d’Appello hanno precisato che il lavoratore che impugna il licenziamento si può limitare a contestare la sussistenza dei fatti posti alla base del recesso mentre il datore di lavoro avrebbe dovuto fornire la prova diretta dei fatti e non l’ha fatto.

Quindi, secondo i giudici d’Appello, il licenziamento è illegittimo perché manca la prova diretta dei fatti che lo hanno determinato. Se invece il datore avesse adempiuto all’onere probatorio, il lavoratore avrebbe dovuto dimostrare i fatti ostativi o impeditivi della sua responsabilità disciplinare.

La responsabilità dei sindaci per omesso controllo sull’attività gestoria

In tema di prescrizione dell’azione di responsabilità promossa dai creditori sociali, ai sensi dell’art. 2394 c.c. il bilancio costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere, onde un bilancio in attivo o in pareggio è idoneo ad offrire un’informazione rassicurante ed affidabile.

Allorché, poi, nonostante la relazione dei sindaci al bilancio, in cui si evidenzi l’inadeguatezza della valutazione di alcune voci, l’assemblea deliberi comunque la distribuzione degli utili ai soci ai sensi dell’art. 2433 c.c. senza obiezioni, in quella sede, da parte degli organi sociali di gestione e di controllo, l’idoneità, o no, di detta relazione sindacale ad integrare di per sé l’elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale rimane oggetto di un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito.

Fonte: ilsocietario.it

Il credito chirografario della banca diventa fittiziamente privilegiato: bancarotta preferenziale


In tema di bancarotta preferenziale, integra gli estremi della simulazione di prelazione, ex art. 216 comma 3, parte 2, L. Fall., la condotta di un’impresa in stato di decozione che consegua da una banca creditrice mutui fondiari garantiti da ipoteca immobiliare, utilizzati per il ripianamento dei saldi negativi dei conti correnti intrattenuti con la stessa banca, così trasformandosi il credito vantato da quest’ultima verso l’impresa da chirografario in privilegiato e, quindi, costituendosi un titolo di prelazione in danno di ogni altro creditore. Il credito chirografario della banca diventa fittiziamente privilegiato: bancarotta preferenziale

Cass. Pen. – Sez. I – 19 novembre 2018, n. 51861, sent.

Fonte: ilfallimentarista.it

Riduzione del personale, salvi solo i dipendenti disponibili alla turnazione: licenziamento illegittimo

La vicenda. Centro commerciale in crisi, a risentirne è anche il supermercato. A rischio, perciò, molti posti di lavoro, a cominciare da quelli degli addetti alle casse. Inevitabile, quindi, la scelta dell’azienda di optare per la riduzione del personale.

La «procedura di riduzione del personale» del supermercato però si era basata quasi esclusivamente sulla loro disponibilità ad accettare una turnazione per fasce orarie.

A contestare il modus operandi della società è una cassiera che ha perso il posto di lavoro ritenendolo un «licenziamento discriminatorio». E questa visione viene ritenuta corretta dai giudici che, prima in Tribunale e poi in Appello, censurano la linea seguita dall’azienda.
In sostanza, viene rilevato che «la società, in mancanza di accordo con i sindacati, aveva formato una graduatoria dei lavoratori ai fini della individuazione dei destinatari del provvedimento di recesso» e «aveva attribuito punteggi diversi ai criteri di scelta legali». Ancora più in dettaglio, viene sottolineato che «la notevole differenza di punteggio attribuita ai diversi criteri aveva determinato una rilevanza decisiva di quello organizzativo, fondato sulla disponibilità dei lavoratori ad accettare una turnazione per fasce orarie».

La Suprema Corte concorda con quanto sostenuto dai giudici di merito poiché «il criterio» adottato dall’azienda «rispondeva ad un intento discriminatorio nei confronti dei lavoratori che per gravi motivi, personali o familiari, non potevano aderire alla turnazione». A certificarlo «gli effetti del sistema di selezione» che «aveva condotto al mantenimento in servizio di coloro che avevano aderito alla turnazione e all’esclusione di quanti, invece, l’avevano rifiutata».

Fonte: ilgiuslavorista.it