La vicenda. Centro commerciale in crisi, a risentirne è anche il supermercato. A rischio, perciò, molti posti di lavoro, a cominciare da quelli degli addetti alle casse. Inevitabile, quindi, la scelta dell’azienda di optare per la riduzione del personale.
La «procedura di riduzione del personale» del supermercato però si era basata quasi esclusivamente sulla loro disponibilità ad accettare una turnazione per fasce orarie.
A contestare il modus operandi della società è una cassiera che ha perso il posto di lavoro ritenendolo un «licenziamento discriminatorio». E questa visione viene ritenuta corretta dai giudici che, prima in Tribunale e poi in Appello, censurano la linea seguita dall’azienda.
In sostanza, viene rilevato che «la società, in mancanza di accordo con i sindacati, aveva formato una graduatoria dei lavoratori ai fini della individuazione dei destinatari del provvedimento di recesso» e «aveva attribuito punteggi diversi ai criteri di scelta legali». Ancora più in dettaglio, viene sottolineato che «la notevole differenza di punteggio attribuita ai diversi criteri aveva determinato una rilevanza decisiva di quello organizzativo, fondato sulla disponibilità dei lavoratori ad accettare una turnazione per fasce orarie».
La Suprema Corte concorda con quanto sostenuto dai giudici di merito poiché «il criterio» adottato dall’azienda «rispondeva ad un intento discriminatorio nei confronti dei lavoratori che per gravi motivi, personali o familiari, non potevano aderire alla turnazione». A certificarlo «gli effetti del sistema di selezione» che «aveva condotto al mantenimento in servizio di coloro che avevano aderito alla turnazione e all’esclusione di quanti, invece, l’avevano rifiutata».
Fonte: ilgiuslavorista.it